domenica 23 dicembre 2007

A tenuta stagna

Pffffft.Ssshhht. Trenta cicli al minuto. Il cilindro d’acciaio pompava vita attraverso il meccanico alternarsi di pressioni e depressioni. Da bambino volevo fare l’apneista. Finii a progettare filtri per ciminiere. Catalizzatori e serpentine per filtrare miasmi e sospensioni velenose.
“Ti trovo bene, oggi.” Maria sorrideva e ripeteva. Trenta cicli al mese. Parole, carezze e sguardi distratti scivolavano sulla parete ermetica del polmone d’acciaio e cadevano a terra.
Dovevo resistere con quello che avevo, con l’aria che mi rimaneva.
Trattenendo il respiro scendevo.
30 metri.
Amavo Maria dai tempi della scuola. I suoi lunghi capelli biondi mi ricordavano il sole; un lusso che non potevo più permettermi e che mi trascinava verso la superficie. Ci sposammo dieci anni orsono con una cerimonia asciutta ed essenziale.
60 metri.
S.L.A. Sclerosi Laterale Amiotrofica. Cominciò con i crampi e presto prese a ridurmi l’aria. Imparai a resistere con poco, sempre meno. Imparai a sopravvivere con le frasi di Maria che, gradualmente, si raffreddava e diluiva i suoi raggi sulla mia pelle sottile.
90 metri.
Amici diversi ogni giorno a salutarmi, crescenti profondità mi separavano dagli occhi e dalle mani in pellegrinaggio, nel bianco batiscafo e tenuta pneumatica. Qualche oggetto, ripescato dal passato, veniva appoggiato sul comodino per accelerare la discesa verso il fondo.
120 metri.
Non sentivo più il bisogno.
Il nero là in basso ormai inghiottiva il tenue lampeggiare del relitto e della sua carica d’aria.
Velenosa.

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