domenica 23 dicembre 2007

L'eterna caccia di un paradigma infausto. - ( E' tutto qui il gusto di mela?)

Molto a posteriori avrebbero dato a tutti quelli che, come me, dovevano proteggere un segreto dallo sprone della tortura, una dose letale da tenere fra i denti. Io stringevo la mia.

Qualche volta, mietuto tutto il grano, davano fuoco ai campi. Quando sentivo il profumo d'incendio mi piaceva strappare un ciuffo d'erba medica e correre sul fieno condannato alla cenere con Lucy, la bambola di stoffa che mia madre confezionò utilizzando i vestiti lasciati dalla nonna, senza capelli e con due monete cucite al posto degli occhi. Alla sua morte ci rimase la cassapanca, i suoi pochi indumenti per la stagione calda e per quella della neve, il libro sul quale mi insegnò a leggere. Nacqui quando ormai il lavoro pesante e quello all'aria aperta le erano preclusi per via dell'età e i miei genitori lavoravano alla stalla o si prendevano cura del raccolto senza il suo aiuto. Io amavo restare davanti al camino ad ascoltare le sue versioni mentre cuciva coperte di scampoli. Versioni di prati, di daini liberi ad aspettare l'inverno.
Arrivò col nonno nel villaggio trent'anni prima che io venissi al mondo. Le tagliarono i capelli in una cella di sassi dopo aver abusato quanto potevano abusare. Non si volle piegare alle intenzioni di un Signore e scappò al villaggio; questo lo venni a sapere diversi anni più tardi dalla bocca di mia madre, quando ormai ero cresciuta.
Imparai che l'amore filiale trascende le generazioni e le presunte verità. Spesso al fuoco seguiva la pioggia.

Seme e reflusso acido da ranitidina.

Un giorno arrivarono gli uomini. Vennero per me. Mi tagliarono i capelli e mi buttarono in un prato. Sentii per la prima volta la fragranza del muschio aggrappato alla pietra, il cui unico cibo fosse fioco bagliore di tizzoni e di ferri nello spazio della cella. Ascoltai le parole di un prete e rimasi senza parlare, serrando le labbra attorno alla lingua nutrita dai blandi ricordi di sole. Pensai alla nonna, alle monete posate sugli occhi di bambola. Ne avevo viste diverse ardere vive per orgoglio, con l'unica colpa di non essere deboli, accondiscendenti. In genere sul rogo la gente grida, si dimena, espelle il demone che rovista nel corpo in rovina; è normale, fa parte del gioco. Poi le basse volute del fumo e le braci vengono lavate dall'acqua.

Nicotina, retrogusto terroso di aspirina.

Oggi pareva toccare a me. Mi sarebbe piaciuto avere una figlia, una nipote alla quale accarezzare i capelli. Oggi pareva incendiassero il grano. Mi sentii nuovamente libera di correre divampando al profumo. Addentando la mia dose di muschio mantenni il segreto.

Punta metallica di ansiolitici sulla lingua.
Presero mia figlia 5 anni fa, a forza, la portarono all'Istituto. Io, sua madre,a detta del mondo non ero in grado di badare a lei. Il compenso per questa mia 'incapacità' fu di qualche centinaio di euro, compenso che puntualmente l'assistente sociale mi portava. Capitò che lasciasse una busta sotto la porta. In realtà tutto faceva parte del giogo. Decisi che in fondo assecondare la mia debolezza non mi avrebbe reso più colpevole di quanto già non fossi. Abusarono un'infinità di volte, certe cose non sono fatte per essere contate.
L'ultimo uomo era uscito ore fa. Chiusi dall'interno la porta blindata, inghiottii una manciata di pillole e mi misi a letto. Nel comodino i soliti soldi, lasciati quasi per caso, arroventavano al buio. Presi due monete e le misi sugli occhi, stesa fra le lenzuola di lino e ricordando che il demone si infila sempre attraverso orifizi.
Fu per questo che, nonostante la condanna, tenni la bocca rigorosamente chiusa, deglutendo a forza sapore di Tavor e godendo del gusto letale dell'erba.

P.s. La morale di questa mia storia la lascio a mia figlia, a sua figlia, a chi nonostante l'ineluttabile rincorsa di pianti e di fiamme sentisse ancora crescere in bocca il mortale germoglio.

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